Quando Pasolini lo chiamavano “IacPalanci”
Intervista a Giulio Coraggio.
di Alessandro Guidi e Pierluigi Sassetti.
Giulio Coraggio, soprannominato Schizzetto dallo stesso Pasolini, è stato uno dei tanti ragazzi di vita che ha avuto la fortuna di conoscere Pier Paolo Pasolini nei suoi migliori anni romani. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua storia.
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– Lei è romano?
Giulio: Si, sono proprio romano, di Trastevere.
– Dove ha conosciuto Pier Paolo Pasolini?
Giulio: a Trastevere, quando lui veniva al bar, al Circolo della Monarchia. Non che noi ragazzi fossimo monarchici, eravamo appunto ragazzini. Mi ricordo che lui entrava nel bar, stava scrivendo un libro, anche se non ricordo quale. Noi, naturalmente, dopo un po’ di tempo iniziammo a prenderlo per’culo, come si dice a Roma. Era sempre tutto elegante, fighettino, vestito per bene. Se ne stava lì, mentre noi giocavamo a biliardo e ci guardava, ci offriva i cornetti e il cappuccino, e ce li faceva portare lì al tavolo del biliardo. Noi dicevamo: “Guarda che pollo, guarda che pollo!” Però lui sapeva il fatto suo, stava semplicemente raccogliendo materiale per il suo libro. Osservava i nostri comportamenti, dalla mattina alla sera, capito? E non soltanto lì al Circolo della Monarchia, ma ovunque andavamo.
– Ci racconti qualche dettaglio di quel periodo.
Giulio: Con IacPalanci, noi lo chiamavamo così perché assomigliava all’attore, Jack Palance, siamo stati a mangiare tante di quelle volte, noi ragazzini affamati, affamati di soldi, di fame vera, ci portava nelle trattorie, lì a Trastevere e noi mangiavamo, mentre lui ci guardava, ci osservava. Praticamente lui faceva il suo lavoro e noi facevamo il nostro. Pier Paolo era una persona veramente speciale, aveva una, una … anche se a me, ancora oggi, piace chiamarlo IacPalanci, tutto attaccato. Non so, mi piace di più. Noi tutti lo chiamavamo IacPalanci. Che poi non lo sapevamo proprio pronunciare, quindi dicevamo “a IacPalanci!!!” e lui rideva, vedessi come rideva, e diceva “Perché? … Ma perché…?” Pier Paolo, a Roma, era un nome sofisticato, era anche difficile da pronuncià “P-i-e-r-P-a-o-l-o”, invece IacPalanci, buttato lì, tutto attaccato, così, era semplicissimo, più semplice. E lui rideva quando lo si chiamava IacPalanci, vedessi come rideva, … e a guardarlo bene ci assomiglia parecchio.
– Cosa ricorda del rapporto che avevate con lui?
Giulio: C’era un gioco, definiamolo così, che facevamo con lui, anche se poi un gioco non era, era vita, necessità, bisogno. Lui veniva sempre ben vestito, abiti eleganti, se rapportati al posto in cui stavamo, e teneva sempre, che so, cinquecento lire qui, nel taschino della giacca, mille lire nella tasca dei pantaloni, cinquecento lire nella tasca interna della giacca … e noi gliele spillavamo. Alle volte, per scherzare, quasi tutte le sere, pigliava na’saccata de bbotte e glie’ spillavano tutte le lire che aveva addosso.
– In che senso prendeva le botte?
Giulio: Si, dai, lo mettevamo in mezzo, e non botte nel senso di fargli male, sapevamo che ci aveva i soldi e glieli levavamo … In realtà, IacPalanci aveva un cuore che era una cosa … aiutava tutti, cinquecento lire a quello, mille lire a quell’altro. Gli si diceva: “Iac, dammi cinquecento lire, dammi mille lire, son senza una lira”, … era un modo anche, se vogliamo, per aiutarci, noi che in fondo eravamo suoi amici perché ci frequentavamo. Questa cosa di spillargli i soldi, non è che era facile, per dire, uno che andasse lì e se ne approfittasse, … lui tante volte se li faceva prendere apposta i soldi dalle tasche, perchè proprio voleva farseli prendere. Io non gli avrei mai preso i soldi se lui non fosse stato al gioco. Questa è una cosa che solo adesso comprendo, ma allora, da ragazzo, non lo capivo e dicevo “guarda che pollo, ci offre il cappuccino”, ma in realtà lui si stava facendo gli affari sua, e noi, “guarda che pollo, ci porta il cappuccino”.
– Noi la conosciamo come Schizzetto, perché questo nomignolo?
Giulio: Io ero Schizzetto, lui mi chiamava così, perché io ero … agilissimo, perché partivo, ad esempio, e saltavo letteralmente sul biliardo a piè pari, oppure, quando lui portava queste paste, e le metteva sopra a un tavolino, io da lì saltavo e passavo dall’altra parte del biliardo.
– Quale ricordo ha ancora vivo di quel periodo?
Giulio: Soprattutto che IacPalanci era una cosa, era un uomo … eccezionale, e che una volta ci portò ad una festa a viale Trastevere, in un attico quasi in fondo alla stazione di Trastevere. Eravamo io, Pasolini, e Carlo, un mio amico al quale Pasolini si affezionò molto. In quest’attico c’erano tutti attori, tutti tirati, ben vestiti, mentre io e Carlo eravamo due sciagurati. Vedevamo tutti mangiare e noi eravamo lì, con il Whisky in mano … questa è la cosa che mi è rimasta impressa, perché noi vedevamo i film sai, e noi sentivamo la parola “Whisky”, e chissà che credevamo: “Che cazzo era sto Whisky?”. C’era il cameriere che girava e faceva: “Whisky?”, e io e Carlo “Whisky! Whisky!”. Ci dà questo bicchiere di Whisky, era forte, chiaramente, per noi ragazzini. Si beve … e Carletto … “Madonna! … li mortacci sua come è forte, madonna … ma che è sta…”. Insomma, andammo sul terrazzo e lo buttammo dentro a un vaso di fiori, per non far vedere che non l’avevamo bevuto. Pasolini ci vide, e dopo quattro o cinque giorni, quando ci rivedemmo, mi disse: “A Schizzè, ma che è possibile che, ma non lo potevi butta’ nel lavandino il Whisky, me lo hai buttato nei vasi, adesso li hai fatti seccare”. E questo è un ricordo …
– Per quanto tempo ha frequentato Pasolini?
Giulio: Quegli anni che siamo stati lì, a Trastevere, penso tre anni in tutto.
– Dal cinquantasei al cinquantanove?
Giulio: Si, poi non lo vedemmo più, o quasi. A forza de bazzicà questi ragazzini, sti ragazzi de vita come noi, qualcuno incominciò a dargli addosso. So che lo denunciarono, lo misero in mezzo, come si dice. E’ capitato che da noi venissero delle persone dicendoci di denunciarlo con la scusa che lui ci aveva adescato, e invece … mi ricordo una cosa molto particolare adesso che ci ripenso: Pasolini aveva un 1100, una Fiat, se non sbaglio … quella con le code. E quando lui partiva poi, ce mettevamo dietro in quattro o cinque, sei, ce mettevamo dietro e se alzava di peso. Lui dava gas e noi gli si alzava le gomme di dietro della macchina. Poi si lasciava, e lui schizzava via sgommando. Ti giuro che lui si divertiva da morì con queste cose. E per noi, avere un amico che aveva la macchina era una cosa particolare, perché chi le vedeva le macchine? Inizialmente veniva da noi con la bicicletta, ma poi fece questa trasformazione, come se da giovincello fosse diventato adulto. Finché lui lavorava a questo suo libro, era lì da noi tutte le mattine, ma era come se avesse avuto degli orari fissi. Anche quando ci trovavamo in altri luoghi, ad esempio, noi sapevamo i suoi orari: lui il lunedì veniva in Trastevere, o in Piazza San Francesco e noi lo sapevamo. Era come un venditore ambulante, che fa il giro e te lo trovi davanti perché conosci i suoi orari. Quindi noi, praticamente, lo aspettavamo ovunque. Si mangiava, gli spillavamo qualche moneta, sempre, sempre.
– Cosa faceva Pasolini quando era con voi al Circolo della Monarchia?
Giulio: Stavamo in questa sala da biliardo. Da una parte c’era un tavolinetto, dalla parte opposta un cassettone, e lui si metteva seduto su quel cassettone, così, e noi si giocava di soldi a biliardo, e io tiravo le boccette al soffitto quando perdevo, e io perdo sempre. Pasolini si metteva lì, al tavolino rotondo del bar, e osservava tutto, e soprattutto scriveva sempre.
– Che cosa vi chiedeva?
Giulio: Ci chiedeva se noi si andava a messa, o se si andava dai preti, questo spesso e volentieri.
– Il vostro rapporto con la chiesa?
Giulio: Certo perché lì vicino c’era una parrocchia. Adesso che ricordo, in occasione della coppa Alcide De Gasperi, lui ci fece un sacco di domande, come ad esempio: “perché siete andati a fare il torneo Alcide De Gasperi? Vi hanno dato qualche cosa?”. A noi ce davano le scarpette, ce davano i pantaloncini, un pallone. E non era poco.
– Era curioso di sapere come catturavano la vostra attenzione?
Giulio: Si, era curioso di queste cose qui. Secondo me, lui voleva capire le tendenze politiche, se ce le avevamo, da che parte stavamo. Per dire, se venivano quelli della Democrazia Cristiana e ci davano un sacchetto con un panino, qualche spicciolo, noi si montava su sto autobus a fare casino … e si andava ovunque ci portassero.
– Quindi secondo lei è per questo motivo che vi faceva quelle domande?
Giulio: Si, per questo, lui voleva sapere perché noi si andava con i democristiani, capito? Perché diceva: “questi li prendono, li pagano”. Io questo l’ho capito adesso, ma quando stavamo lì in quelle condizioni di vita, mi importava assai a me di quello che pensava Pasolini, oppure…
– Bastava mangiare … insomma …
Giulio: Basta che se mangnava e che se beveva, … ecco, questo. Perché ad esempio, mi ricordo di mia madre quando andava a fare le pulizie in un bar e talvolta le davano una borsata di cornetti, di paste del giorno prima. Quando lei tornava a casa con questa borsa piena di cornetti … e noi lo sapevamo … la vedevamo da lontano, le correvamo incontro, le toglievamo letteralmente la borsa dalle mani … non faceva a tempo ad arrivare a casa che avevamo già spolverato tutto … quella era fame! Ad esempio si andava dal Fagiolaro perché faceva i fagioli, e lì ci andavamo con Pier Paolo, ma poi ci ritornavamo con i soldi che gli si spillava, e tante volte il tipo del Fagiolaro ci chiedeva: “Ma come, avete magnato adesso e già tornate a magnà? Già siete ritornati a magnà un’altra volta?” Si faceva il giro delle osterie.
– Cosa vi colpiva di quell’amicizia?
Giulio: Quello che ci attirava di lui era questo: noi non sapevamo mette’ neanche una parola dietro l’altra. Se diceva tre parole e quattro parolacce, e vedendo lui era molto diverso da noi, ma era pur sempre uno di noi, era forse peggio di noi. Era un signore nel comportamento, veramente, ma parlava la nostra stessa lingua. Era uno tosto, aveva quel viso marcato, dava l’idea di essere un duro, un malandrino, e secondo me lo era. Poi, quando lo sentivi parlare, aveva una vocina fine, delicata, con l’accento del nord d’Italia, e allora ti rendevi conto di qualcosa che forse ci faceva paura, perché era come noi ma profondamente diverso da noi.
– Paura?
Giulio: Per dirvi, una sera eravamo in un ristorante, non ricordo bene dove, ed entrarono due tizi, probabilmente due poliziotti in borghese. Noi eravamo in tre, ed uno di questi si girò verso di noi e ci chiese: “che state a fa’ qui?”. Non me ricordo chi rispose di noi, ma qualcuno disse: “so’ cazzi nostri!”. Proprio così glie’ rispose, e Pasolini si alzò per fare casino con questo. Siamo stati noi a dissuaderlo, e avevamo più paura noi che lui praticamente, perché lui si stava già prendendo con questo coso. E questo particolare ci spiazzò non poco. Lo vedevamo come un damerino, ma quel giorno vedemmo in lui qualcosa che avevamo anche noi. E allora, dopo, quando siamo rimasti fra noi, si diceva: “Cazzo, hai visto quello è un fijo de ‘na mignotta”, nel senso che non era come si pensava noi un damerino, “Hai visto, se un se reggeva noi, quello se …”. Per questo motivo, una cosa della sua morte che non mi è andata giù è il modo in cui è morto. Lui non era certamente aitante come persona, ma era forte, veramente forte, tante volte si faceva a braccio di ferro, si scherzava, e non è che fosse debole, era una roccia … era vitale, agile, veloce, soprattutto quando si giocava a calcio.
Lo ripeto, queste sono sempre cose che … che sono venute dopo, che chiarisco adesso. Se ricollego tutto, adesso mi rendo conto che lui era pedinato, che lui era uno preso di mira. Non voglio fare congetture, ma lì era la Democrazia Cristiana che comandava, lui dava fastidio a questa gente, parliamoci chiaro, a questi qui gli dava fastidio. Ecco perché quando ce ne andammo al campo a fa’ questa partita ci chiese: “Ma perché siete andati a fa quel torneo Acide De Gasperi? Che vanno dato qualcosa? Chi vi ha chiamato?”. Non mi ricordo nemmeno chi ci invitò.
– Chi erano questi?
Giulio: Eh, chi erano, non lo posso sapere, però me lo posso immaginare … i preti, Pasolini ce li aveva tutti addosso.
– Ma Pasolini vi chiamava per nome o per soprannome?
Giulio: No, ci chiamava per soprannome, lui non lo sapeva neanche che io mi chiamavo Giulio, che mi chiamo Coraggio …
– Quindi la chiamava Schizzetto…?
Giulio: Lui aveva in testa Schizzetto e basta… A proposito di soprannomi, mi ricordo che c’era un attore che è diventato famoso, ma a quel tempo era un ragazzo come noi, e lo chiamavamo “pecorino”. Stava in Trastevere, e con Carlo, il mio amico, se pigliava “a carci ner culo” perché voleva venire sempre dietro a noi. Se chiamava pecorino perché aveva il naso grosso, il nasone. Difatti noi per piglia’ “per’culo” la gente che aveva il naso grosso gli si diceva: “se nascevi pecora morivi de fame” perché la pecora col naso lungo non può brucare, capito?
– Lei schizzava insomma …
Giulio: Schizzato, ma so schizzato anche de testa … Pasolini ci aveva visto bene.
– Quando lei schizzava da una parte all’altra come sul biliardo …
Giulio: Si, ma poi, sai … ho avuto anche delle vicissitudini giudiziarie, sono stato un casino, insomma, la vita mia è stata un romanzo…
– Giudiziarie?
Giulio: Eh, quando ero militare, sono partito per il militare nel sessanta, sono tornato nel settantuno, perché tirai una bastonata, una palata ad un capitano, e sono andato a finì a Gaeta, insomma, a Roma. Ero un disastro, sono stato un disastro nella mia vita, non guardate adesso che oramai mi sono calmato. Ho buttato via la mia gioventù, ma non ho rimpianti, se tornassi indietro rifarei tutto, forse darei una palata più forte a quel capitano, perché non è che mi ha soddisfatto più di tanto …
– Le stava antipatico?
Giulio: Era un veronese … razzista, ce l’aveva coi romani.
– Secondo lei Pasolini amava questi ragazzi?
Giulio: Presumo che vedesse veramente la sofferenza di questi ragazzi. Noi non avevamo sbocchi, non c’era niente da fare, perché non c’era niente per noi. Eppure stavamo lì in Trastevere, e la sera eravamo in centro a Roma, non eravamo mica chissà dove? Lui amava noi perché forse, presumo, vedeva in noi qualcosa che anche lui aveva sofferto, un forte contrasto con il padre. Il padre era un fascista, un colonnello. O forse vedeva la povertà … e vedeva la sofferenza di questi ragazzi, perché lui ha avuto un’adolescenza brutta anche lui. Per questo, penso, che quando noi mangiavamo, lui se metteva lì e godeva nel vederci divorare.
– Come una madre!
Giulio: Come una madre, giusto, che osservava con piacere quelli che mangiavano soddisfatti, e lui però non mangiava.
– Si, le madri non mangiano.
Giulio: Noi, inizialmente lo consideravamo un pollo, un pollo da spennare, un bischero, uno che gli puoi togliere i soldi. In realtà, le cose stavano diversamente.
– In realtà lui si faceva gestire…
Giulio: Certo, il fatto è che era lui che gestiva noi. Lui ci portava il cappuccino e i cornetti, noi si andava da Adamo er sozzo, al bar a farci gli affari nostri. Noi lo prendevamo come se: “questo viene qui … ora glielo facciamo vedere noi”. Lui compariva la mattina, aveva sempre il taccuino con la penna in mano. Noi pensavamo addirittura che fosse uno studente, che andasse a scuola. Tra di noi si diceva che aveva fatto “sega a scuola…”, come si diceva allora. “Ha fatto sega a scuola … e viene qui a cercà qualche pischello…” dicevamo noi…
– Quindi offriva lui per andare in questi posti?
Giulio: Andavamo dal Circola, c’era il Circola, non so se voi l’avete sentito, il Circola era il barcone sul fiume, sotto Castel Sant’Angelo … andavamo lì, alla Cisterna, la Cisterna era un ristorante abbastanza conosciuto, in via San Francesco, per andà a Santa Maria in Trastevere. Siamo stati anche alla festa che ha fatto per il film La Notte brava. Eravamo soltanto io e Carlo. Mi ricordo Giovanna Ralli. La cosa mi fece piacere, perché eravamo solo noi tre, io, Carlo il Palanci e basta.
– Si ricorda il primo incontro con Pasolini?
Giulio: Pasolini, il primo incontro è stato …
– Dove le è apparso…?
Giulio: E’ entrato nel bar … da Adamo er sozzo. Pasolini entrò dentro e ordinò qualcosa, e poi si girò, si appoggiò con le spalle al banco e ci guardò.
– Le disse qualcosa in questo primo incontro?
Giulio: No, no, niente, non parlò, poi c’è stato un periodo in cui sparì improvvisamente, tanto è vero che, quando lo vedemmo di nuovo, gli chiedemmo: “Eh, hai fatto i sordi eh?”. Poi tra l’altro, una delle ultime volte che ci siamo visti, quasi ci faceva rabbia, perché ci aveva un po’ abbandonato, perché veniva sempre, ed ad un certo punto non si era più visto, non veniva più da noi. E lui non ribatteva. Avrà avuto i suoi motivi.
– Diciamo che forse non gli interessava più questo spaccato sociale…
Giulio: Può darsi …
– Era portato altrove…
Giulio: Certamente, comprensibile.
– L’ultima volta che l’ha visto se lo ricorda?
Giulio: L’ultima volta che l’ho visto? Sinceramente non mi ricordo l’ultima volta.
– Vi raccontava della sua famiglia?
Giulio: Si, si … del padre più che altro, penso di non averlo mai sentito nominare la madre, addirittura pensavo che non l’avesse neanche.
– Davvero?
Giulio: La madre non l’ha mai nominata … mentre del padre parlava spesso.
– Non si può nominare la cosa , perché la si uccide…
Giulio: E ci domandava sempre i rapporti che avevamo in casa, tipo: “ve menano?”. Eccome se ce menavano! Ci chiedeva se i nostri genitori erano violenti, ecco, queste cose qui. Ci si confrontava parecchio su queste cose della famiglia.
– Voi parlavate di tutto?
Giulio: Si, noi se parlava…
– Senza freni?
Giulio: Si, se pijava per culo, perché lì, non era mica un’intervista, se chiacchierava, fra amici…così…
– Vi ha mai fatto qualche confidenza sulla sua famiglia?
Giulio: Lui mi diceva che con suo padre aveva un forte conflitto … penso che lo odiasse.
– Come descriveva il padre?
Giulio: Diceva: “io e lui non ci si incontra mai, non ci si incontrerà mai, non lo so perché”. Cose come queste. Lui comunque chiedeva e a quell’epoca lì chi li aveva i rapporti con i genitori? Io, quando vedevo mio padre scappavo sempre, perché chiaramente erano sempre botte, ma non perché tuo padre dava le botte, perché purtroppo noi se faceva una vita che … era un’altra cosa rispetto a quella di oggi. Mi ricordo veramente bene una cosa che faceva con la penna, un gesto, così, mi pare de rivederlo, mentre mi chiedeva con quella sua vocina “Quando torni a casa tardi, ti aspettano sulla porta?”. “Il tuo papà” faceva “Il tuo papà, ti aspetta sulla porta?”. A me si che mi aspettava sulla porta. Io scappavo e mio padre aspettava che andassi a letto per darmi quello che meritavo. Comunque, però, ripeto, della madre… mai e poi mai, mai sentita nominare.
– Innominabile…
Giulio: Addirittura io, noi eravamo convinti che lui la madre non ce l’avesse. A quel tempo pensavo che Pasolini non avesse la madre, che avesse solo il padre, un padre oppressore per il fatto che lui era omosessuale, per questo comprendevo questo conflitto forte con suo padre.
– Ma Pasolini vi aveva mai confessato di essere omosessuale?
Giulio: No, no, niente, lui non ne ha mai parlato. Addirittura alcune volte è venuto accompagnato da belle ragazze, che poi, penso, fossero attrici, aspiranti attrici, attricette, insomma.
– Come avete scoperto il fatto che era omosessuale?
Giulio: Col tempo, da voci. Lui voleva molto bene a Carlo, il mio amico, Carletto, Carlino, che lo ritrovi anche in Ragazzi di vita e forse in Una vita violenta. Penso si sia proprio ispirato a Carlo. Con Carletto ci scherzava, gli era veramente attaccato.
– Non eravate maliziosi …
Giulio: No, ma per niente, ma chi pensava assolutamente…
– Ecco, questo piaceva a Pasolini,
Giulio: E’ una cosa normalissima …
– Niente malizia … la malizia è borghese …
Giulio: Sinceramente, a me, non ha mai fatto un complimento, soltanto mi diceva sempre … “A Schizzé, te sei er più fijio de ‘na mignotta qui”. Mi diceva questo forse, non lo so, perché ero il più smaliziato, il più svelto, il più sveglio, una cosa del genere.
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