Perché la Guerra?
di Alessandro Guidi
Einstein all’inizio degli anni trenta interpella Freud con una lettera chiedendogli un suo parere su come prevenire la fatalità della guerra. Freud risponde nel 1932: la guerra è possibile prevenirla solo se gli uomini si accorderanno per costituire una autorità centrale a cui vengono deferiti tutti i conflitti e interessi. (tesi di Einstein).
Ma ciò, si chiede Freud, se sia possibile realmente e se comunque sia sufficiente. La Guerra è la madre di tutti conflitti ma al tempo stesso è la conseguenza di conflitti interni al soggetto umano. Essere in guerra con se stessi oppure una guerra è scoppiata dentro di me. La psicoanalisi con Freud ha messo in evidenza questo aspetto (il conflitto) all’interno del soggetto ma anche, per estensione, al livello della massa che costituisce la civiltà ed il tessuto sociale. Per Freud, infatti, la psicologia dell’Io è immediatamente psicologia sociale. Ciò che si agita in ogni singolo soggetto ha degli effetti intorno e tra gli altri in contatto con quel singolo soggetto, tenendo presente che sia il contesto che tutti gli altri al di fuori di quel singolo soggetto sono formati dalla somma di singoli individui e dunque il “contesto” e “tutti gli altri” risultano essere spazi dove ciò che si agita nel singolo individuo in termini di conflitti e aggressività si espande e contamina sia il “contesto” che “tutti gli altri” (terza forma di identificazione o per contagio). La guerra, quella che stata designata come prima guerra mondiale, è il risultato di una contaminazione di grandi masse che si scontrano tra loro, e perché lo fanno? Da qui la domanda. Perché la guerra?
Freud ritiene una illusione la società dove sono garantiti l’uguaglianza tra i membri: la tendenza aggressiva ci sarebbe sempre, la tendenza alla crudeltà si farebbe viva. Lacan porta alle estreme conseguenze l’analisi di Freud sulla aggressività all’altro, al simile, la tendenza alla crudeltà individuata da Freud come pulsione che ritorna nel soggetto umano perché fa parte costitutiva della sua struttura, e dunque l’odio (aggressività, crudeltà) non si scatena per certe particolarità sociali né per la trasformazione politica dei rapporti sociali, ma è una condizione dell’essere dell’uomo, è una caratteristica della passione dell’essere che è l’odio. Freud ne Il disagio della civiltà, argomento ripreso da Lacan nell’Etica della psicoanalisi, concettualizza la questione della guerra o dell’aggressività in questo modo:
«Quelli che preferiscono i racconti delle fate fanno orecchi da mercante quando si parla loro della tendenza nativa dell’uomo alla cattiveria, alla aggressione, alla distruzione e quindi anche alla crudeltà. E non è tutto: l’uomo cerca di soddisfare il proprio bisogno di aggredire a spese del suo prossimo, di sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, di servirsene sessualmente senza il suo consenso, di impossessarsi dei suoi beni, di umiliarlo, di farlo soffrire, di torturarlo e di ucciderlo».
L’identificazione sociale per contagio significa per Freud che la conflittualità tra colpa e Legge si è risolta in modo forzato senza cioè essere elaborata ma viene agita con il trovare alleati al di fuori, su cui appoggiarsi oppure nemici su cui scagliarsi: questo guardare al di fuori nel contesto o negli altri riguarda qualcosa che ha che fare con l’invidia per l’altro, per ciò che l’altro ha fino ad arrivare alle estreme conseguenze dell’imitazione e dell’impossessamento dell’oggetto desiderato. Freud, dunque, attraverso la sua riflessione sociale sulla guerra e sul perché del suo scatenamento arriverà intorno al 1920 a scoprire la pulsione di morte, accanto e in correlazione a quella di vita, e l’aggressività agita all’esterno sull’altro, sul simile come scaricamento strutturale del conflitto interiore nel soggetto.
La guerra ha portato Freud a modificare il suo pensiero sull’uomo, ha aperto una breccia nel soggetto, una ferita, una caduta dell’Ideale d’amore perché l’evento, la guerra mondiale, ha una portata estesa e la carica è talmente aggressiva per le armi impiegate che gli effetti sul soggetto sono enormi. Freud riflette con amarezza anche sulla contraddizione tra questa carica aggressiva e le virtù culturali che la cultura tedesca ha portato in dote, ovvero dallo stesso popolo responsabile del conflitto bellico per la sua aggressività bellica e mortifera. Prima del culturale, prima della cultura che è una costruzione e una trasformazione delle pulsioni, vi sono per Freud dei bisogni primari e originari che non sono né buoni né cattivi ma ciò che deve essere soddisfatto primariamente e che nell’uomo viene classificato come pensato, come tendenza malefica mutevole. Ma questa tendenza originaria malevola è innata?
Freud se lo chiede e nel 1915 risponde che questa tendenza è un fattore innato, in altre parole c’è qualcosa di biologico nell’uomo. Questa posizione Freud la modificherà nel corso degli anni e dal 1920 in poi elaborerà la nozione di pulsione di morte intesa come fattore umano che caratterizza la struttura inconscia insieme alla pulsione erotica. Per cui, la guerra diviene quell’atto sociale sorretto da costruzioni intellettuali e umane, come la religione, o ideologiche, come il primato della razza, oppure sorrette da qualcosa di più raffinato come le teorie economiche di Bentham cioè dall’utilitarismo che è un tentativo, ci dice Lacan, di armonizzare il bisogno e la ragione: ciò di cui ho bisogno trova nella ragione speculare dell’altro il motivo della ragione del mio altruismo in quanto quest’ultimo è la radice (soddisfazione) del mio egoismo.