Ma come scrivono male questi poeti!
“Ma come scrivono male questi poeti!”
Idee per avere idee.
di Pierluigi Sassetti
“ … sapesse le idee che mi frullano per il culo … ”
(Ennio Flaiano)
Classico tema sulla droga, due ore di tempo, ampia possibilità di copiare, insegnante acida e antipatica che aspetta impaziente la fine dell’ora per tornarsene a casa. In Fabrizio emerge improvvisamente l’idea del genio, un po’ alla Amici Miei, e toglie dalla sua cartella Lettere Luterane di Pier Paolo Pasolini. Nel libro c’è un intero capitolo sulla droga e decide di copiarlo spudoratamente saltando le parti non inerenti all’argomento. Il tema è finito in un’ora e mezza, quattro colonne belle e asciutte. L’indomani la professoressa riporta il compito: quattro. Fabrizio crede di essere stato scoperto, e invece no. La prof non si è accorta dell’esercizio di copiatura, ma si è invece gettata sul testo cospargendolo di sottolineature in rosso. Non errori grammaticali, niente punteggiatura errata, ma concetti sballati, con i quali, come ha detto apertamente, non era d’accordo. “Ne ho parlato anche con mio marito” delibera la professoressa, “secondo lui è giusto, ma per me no”. “Sono concetti superficiali” decreta la prof, facendo così cascare le p…e per terra al povero Fabrizio che non crede alle sue orecchie, “per non dire banali” aggiunge poi. Alla fine la ciliegina sulla torta: “Io non sono d’accordo” sentenzia. Fabrizio, da dietro al suo banco non sa se ridere o se piangere, se dirglielo o non dirglielo che quelle parole sono di uno dei più grandi e stimati poeti, “uno tra i pochi ad essere ricordato” alla fine del novecento, come sottolineava Moravia in occasione dell’onoranza funebre dell’amico Pier Paolo.
Ore 10.30, il professore di storia riporta il tema sulla Shoah. Marco si è preso un bel cinque. “Come fai a scrivere di Hitler in questo modo?” chiede il professore a Marco. “Come fai a definire Hitler un fratello, a considerarlo uno di noi?”. Marco tace e pensa alla sua media che cala sempre di più. Ma tace anche sul fatto che gli spunti per il tema li ha ripresi direttamente da Fratello Hitler, un celebre libro di Thomas Mann. In quel momento, in Marco nasce un dubbio: come potersi difendere? Come dire al prof questa verità? Rischierebbe di farlo diventare ridicolo ed ignorante davanti a tutta la classe e all’insegnante di sostegno. “I professori sanno essere vendicativi, sanno come fartela pagare”, mi chiarisce Marco, “le conseguenze potevano essere ben peggiori di un cinque, per cui ho preferito tacere e far finta di niente”.
Poco importa, diciamo tanto per minimizzare e per consolare questi due malcapitati studenti; in fondo, un quattro e un cinque si possono sempre recuperare. Ma chiediamoci se, quanto è avvenuto in queste due occasioni, non possiamo non considerarle come le migliori metastasi di un modo di fare cultura completamente errato, l’essenza acerba di una scienza dotta che non è l’educazione, ma la megalomania dell’esimio di turno, applicata in un dato contesto in cui si rende possibile la sua applicazione. In fondo, Thomas Mann il suo bel Nobel lo ha ricevuto, e Pasolini è il feticcio della letteratura italiana per antonomasia: forme pure di riconoscimento, non di poco conto. Il problema è un altro, e sorge spontanea la domanda: e se questi signori, questi professionisti dell’educazione si sbagliassero nel valutare voi, cari studenti? Se vi avessero preso alla leggera così come hanno fatto con Pier Paolo Pasolini e Thomas Mann? Non mi riferisco ai voti, che sono qualcosa di unicamente circoscritto all’ambito scolastico, ma alle vostre idee, quelle che vi permetteranno di essere e pensare nella vostra vita e nel vostro futuro lavoro. Diciamolo apertamente: c’è bisogno di uno studente “cretino” per fare grande un insegnante, ma il punto, appunto, è che lo studente non lo sa: non lo sapeva ai tempi delle scuole elementari, alle scuole medie e alle superiori. All’università ormai, quando è diventato la copia perfetta dei suoi stessi insegnanti, probabilmente, non c’è più niente da fare. E il cerchio si chiude: i gatti generano gatti, i cani generano cani e più di lì non possiamo andare. Bah, pazienza, non resta che urlare a squarciagola: “Si salvi chi può!”, oppure, trattandosi di educazione: “Si salvi chi riesce a capire!”. Ma anche questo è un problema, anzi, “il problema”. Gli esempi riportati sono pur sempre situazioni educative, di quelle che certamente non appaiono sui programmi ministeriali alla voce “Didattica per infondere nello studente un senso di delusione di fronte ad un professore incompetente o ad un adulto palesemente incapace”. Sono esempi che dovrebbero motivare qualsiasi studente ad imparare a capire chi sia il maestro o l’insegnante che gli sta di fronte e come imparare a schivare i suoi colpi intellettuali maldestri. Esempi che dovrebbero far comprendere allo studente che la “serietà” e “l’etica” sono veramente una cosa “seria” ed “etica” e che proprio a partire da questi spunti si dovrebbe far di tutto per interrogare questo lato oscuro del pensiero sensibile. Già, ma come spesso si costata nel pensiero dell’adolescente medio, a simili situazioni non consegue una presa di posizione, ma solo un’idea che dura “uno, due, tre, quattro” secondi. Poi il gioco educativo ricomincia e le posizioni ritornano ad essere le stesse di sempre. Proviamo a fare attenzione al circolo vizioso di fronte al quale ci troviamo: i vostri insegnanti, per diventare “quel tanto che sono” hanno certamente studiato, anzi, specifichiamo meglio: hanno fatto i medesimi vostri studi per gli stessi anni che terranno voi occupati. Sarà dunque questo il vostro destino (se non riuscirete a cambiare posizione)? Diventare tali e quali a chi impietosamente vi demolisce di giorno in giorno? Quindi, dov’è che il meccanismo fa acqua? Perché si generano questi mostri di presunzione ed egocentrismo maniacale? Ludwig Wittgenstein lo suggeriva: “E’ meglio essere buoni che sapienti”. Ma che vuol dire essere buoni?
In conclusione, come ci raccomandava il buon Renzo Arbore in una famosa pubblicità di un tempo: “Meditate gente … meditate!”, e già potrebbe significare avere un piede fuori dalla fossa. “Cin cin!”.
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